Nel Novecento non esiste una sola danza. Dall’inizio del secolo si apre un grande periodo di sperimentazione in Occidente, tra Europa e Stati Uniti d’America, che mette in discussione il concetto stesso di danza: che cos'è "danza"? Come si modifica la visione del corpo danzante?
Le risposte sono mutevoli e oscillano tra formalismo ed espressione, autonomia e commistione di generi artistici. Da una parte si sviluppano scuole e tecniche nuove, come la danza moderna americana, quella espressionista tedesca e in seguito il Tanztheater. Anche il balletto si trasforma profondamente, seppur senza tradire del tutto le sue origini.
La ricerca musicale che accompagna la produzione della danza si intensifica lungo tutto il secolo: si passa dall'estremo minimalismo degli esordi di Carolyn Carlson e Anna Teresa De Keersmaeker, fino l'utilizzo della musica elettronica, rock, pop, disco, passando per la campionatura di canzoni, audio di voci, rumori come fece Pina Bausch.
In questo contesto è interessante però citare collaborazioni tra professionisti e professioniste della danza e del suono e opere in cui le due arti coesistono nel tempo e nello spazio mantenendo una propria autonomia, in un rapporto paritario e non di dipendenza l'una verso l'altra.
In seguito alla rivoluzione operata da Merce Cunningham e dal compositore John Cage, un’altra coppia artistica ha segnato il rapporto tra le due arti. William Forsythe, nato a New York a metà del Novecento, è considerato erede artistico di George Balanchine, si trasferisce in Europa per dirigere il FrankfurtBallet nel 1984, anno di svolta artistica e professionale del coreografo, che deve parte del suo successo al musicista Thom Willems. Con Willems, il coreografo newyorkese dà vita nella seconda metà degli anni Ottanta ad una nutrita serie di lavori. Entrambi considerano e usano musica e danza come entità autosufficienti: le dinamiche e la lunghezza generale coincidono, ma non sono un’illustrazione l’una dell'altra.
Nello stesso periodo, negli Stati Uniti, inizia la collaborazione tra Lucinda Childs, Philip Glass e Robert Wilson per la creazione di Einstein On The Beach, un’opera di teatro musicale considerata la più rivoluzionaria e influente del secondo Novecento. Einstein On The Beach è una messinscena anti-drammaturgica e fortemente simbolica, concepita come un flusso sviluppato in quattro atti resi ininterrotti da brani di collegamento. Si possono individuare nell'opera tre gradi di potenza espressiva nel gesto, nel linguaggio e nella musica che si intrecciano procedendo su diversi livelli di intensità e mantengono una propria autonomia nella composizione.